“Tracce” di Tina Pane

Tracce
di Tina Pane


Guardo.

Guardo giù, mentre stendo i panni sul balcone, la casa di fronte, sventrata dall’oggi al domani. Sulla grande terrazza, ricavata dalla sopraelevazione del basso edificio in tufo, è rimasto uno specchio scheggiato, una scaffalatura coi ripiani in formica e un vecchio stendino annerito dall’uso. Che tristezza.

Ci abitava, fino a pochi mesi fa, un gruppo famigliare di brutti-brutti, con tre cani e molti bambini. Non ho mai messo bene a fuoco tutti i componenti, ma riconoscevo una donna magra e di età indefinibile, coi capelli nerissimi di tinta e una perenne sigaretta appesa al labbro. La donna, che aveva la faccia di una che si poteva chiamare Susy o Patrizia, era la vera padrona della terrazza, sulla quale si agitava con la pompa, col bucato, con le sdraio da sistemare per quando venivano le amiche a prendere il sole con lei. Mi dava un senso di provvisorio con quella pinza nei capelli, la vestaglia d’inverno e il costume d’estate, come se non avesse altri abiti o mai dovesse uscire.

Forse per l’eccessiva magrezza e l’altrettanto eccessiva abbronzatura, forse qualcosa in quei suoi gesti nervosi o a causa di quelle docce che si faceva la sera tardi, seminascosta da una tendina di fortuna…non so bene perché, ma l’ho sempre immaginata come una persona sola, livorosa, incattivita da un marito scappato o da un figlio non venuto.

Anche il vecchio mi dava disagio. Durante la giornata chissà dov’era, non l’ho mai visto sulla terrazza. Ma la mattina presto, d’estate, lo trovavo lì, impudicamente addormentato su un lettino da mare, in mutande e canottiera, con un lenzuolo stropicciato tra le gambe e i radi capelli azzeccati sulla testa a testimonianza che anche dormendo sotto le stelle aveva avuto caldo, e sudato.

Qualche volta, sempre d’estate, i brutti-brutti organizzavano delle feste per i bambini, gonfiando una di quelle piscinette tonde e riempiendole d’acqua già dalla mattina. Mentre i bambini giocavano e strillavano, le mamme fumavano e parlavano indifferenti, salvo menare schiaffi a mani basse quand’era il momento di convincere i figli ad asciugarsi. Spesso, il giorno dopo, la piscinetta stava ancora lì, con l’acqua torbida e qualche foglia a galleggiarci sopra.

Ma la cosa che più di tutte m’irritava era che i cani facevano i loro bisogni sulla terrazza. Non in una lettiera, ma proprio a terra, dove capitava, e a volte quei bisogni rimanevano lì anche due o tre giorni, senza che Susy / Patrizia o qualcun altro li rimuovesse. Di tanti comportamenti censurabili, questo di lasciare le feci alla pietà del sole o delle piogge, era quello che più inorridiva i miei familiari nonché tutti i condomini della mia verticale, che sempre avevano una parola di condanna per quello spettacolo schifoso.

La curiosità con cui ho osservato in questi anni la tribù dei brutti-brutti non è mai stata quella benevola che guida il mio occhio oltre una finestra dischiusa o dentro lo spicchio di casa che si intravede da una porta delle scale lasciata aperta per una consegna.

Ai brutti-brutti ho sempre guardato un po’ accigliata o scuotendo la testa, alternando la lente dell’antropologa all’atteggiamento di chi a braccia conserte aspetta solo che succeda il guaio. Si, mi sono sempre aspettata il peggio. Che un litigio finisse in tragedia con sparatoria, che il boxer –stancatosi di abbaiarmi contro appena mettevo piede fuori al balcone- azzannasse uno dei bambini, che un vaso cadesse giù ad ammazzare quelli del piano di sotto…insomma una di quelle cose che leggi distrattamente e però morbosamente sul giornale pensando ma certa gente come vive.

E invece non è mai successo niente, un po’ alla volta ho fatto il callo ai loro teatrini e ho smesso addirittura di osservarli.

Un pomeriggio, qualche mese fa, mentre stendevo i panni (e quindi tenevo lo sguardo in direzione della terrazza ma senza veramente vederla), mio figlio mi ha raggiunto sul balcone e mi ha detto “Hai visto, ma’, quelli dei cani se ne sono andati”.

Orrore!

“E quando è successo?”-ho chiesto mettendo a fuoco, finalmente, l’abbandono della terrazza.

“Due settimane fa, mi pare” –mi ha informato lui.

Ci sono rimasta davvero male. Ho scosso la testa e mi sono detta stai perdendo colpi, vecchia mia!

Se ne erano andati! Sapere dal portiere che erano stati sfrattati per morosità non mi ha meravigliato tanto quanto constatare che in cuor mio gli auguravo che ovunque si fossero trasferiti avessero trovato una terrazza (o anche un balcone capiente) dove espandere la loro intimità.

È passato qualche mese, ma poi è successo. Mentre ero intenta a stendere il bucato, ho visto di nuovo animarsi la terrazza.  Quello con la giacca attillata e la cartellina era sicuramente un agente immobiliare, e i due ragazzi giovani una coppia in cerca di casa. L’agente parlava con foga, muovendo il braccio libero in tutte le direzioni, quasi volesse magnificare un panorama che non c’era, a meno di non voler considerare panorama l’incombente palazzo di sette piani dove abito io. I due probabili acquirenti lo ascoltavano con attenzione, guardandosi intorno e facendo domande. Mi sono sembrati delle persone normali, infatti hanno anche accennato un saluto, quando si sono voltati in su, dalla mia parte, mostrando due bei visi sorridenti.

Ecco, ho pensato, sono arrivati i belli-belli.

I belli-belli si sono decisi rapidamente, hanno comprato la casa e fatto già due sopralluoghi con l’impresa. La settimana scorsa sono venuti gli operai, che hanno messo in un angolo tutte le suppellettili abbandonate e hanno cominciato i lavori.

Ora che sono stati tolti gli infissi e gli avvolgibili, riesco a vedere dentro la casa i muri senza rivestimenti, nudi, coi contorni imprecisi. Fa una certa impressione pensare che tutto, anche le macchie sulle pareti, anche i buchetti dei chiodi, qualunque traccia della vita di prima sia scomparsa.

Oggi sul pavimento della terrazza gli operai hanno fatto un montarozzo di sabbia e altri materiali che hanno mescolato con una pala. Con quest’impasto hanno cominciato a intonacare le pareti interne, che ricominciano ad essere definite. Quando tutto sarà completato e anche i mobili sistemati ci sarà nuova vita, altre voci e milioni di sospiri e di parole.

Non ci saranno più escrementi di cani sulla terrazza.

Ma forse qualche loro frammento sarà finito nell’impasto dell’intonaco. 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *